A cura di Roberto e Redazione. Il Carnevale è una festa che si celebra nei paesi di tradizione Cattolica, caratterizzata dall’uso del mascheramento attraverso il quale si rappresentano, in maniera ironica, alcuni eventi di attualità e temi di vario tipo, tra cui la politica, la società e lo spettacolo. La parola carnevale deriva dal latino “carnem levare”, eliminare la carne. Il termine stava ad indicare il banchetto che si teneva l’ultimo giorno della festa, durante il martedì grasso, prima del periodo di astinenza e digiuno della quaresima.
L’Italia è piena di maschere regionali che hanno un’origine diversa, che nascono sia dal teatro dei burattini della Commedia dell’arte e delle tradizioni arcaiche, sia dai festeggiamenti carnevaleschi di varie città. Ciò che caratterizza le maschere é un insieme di elementi che hanno lo scopo di scacciare le forze delle tenebre, allontanare l’inverno e aprire la strada all’arrivo della primavera, attraverso il rumore, il colore ed il clamore.
I festeggiamenti principali avvengono il giovedì e il martedì grasso e terminano l’ultima settimana prima della Quaresima, che corrisponde, nel rito romano, al mercoledì delle ceneri. Tra i più importanti carnevali in Italia ci sono quello di Viareggio in Toscana, di Putignano in Puglia, di Acireale in Sicilia, di Ivrea in Piemonte, di Venezia in Veneto e di Cento in Emilia Romagna, ognuno con le sue maschere caratteristiche.
Anche la Sardegna è molto ricca di maschere dai tratti arcaici la cui tradizione è sempre viva; queste facevano parte di riti sacri e propiziatori legati alla vita dei campi e al ciclo della vita, alle stagioni e quindi alla fertilità, alla morte, al demonio, alla lotta tra animali e al loro addomesticamento da parte del pastore. Le maschere della tradizione, caratteristiche del centro Sardegna, si rifanno alla comunità agropastorale, caratterizzate da pelli, campanacci e visi anneriti col carbone. Questa festa inizia il 17 Gennaio con la ricorrenza di S. Antonio Abate, durante la quale si organizzano dei grandi falò che vengono accesi in onore del Santo: la popolazione, in passato, auspicava che il raccolto andasse bene e che passassero tutti i mali.
Il carrasegare sardo si distingue dalle altre tradizioni carnevalesche perché in esso ci sono momenti di svago, divertimento e trasgressione, anche se in alcune zone interne della Sardegna assume un aspetto lugubre e luttuoso.
Oggigiorno si contano più di trentacinque maschere tradizionali che attribuiscono alla Sardegna il primato su tutto il territorio nazionale. Tra le più note abbiamo i “Mamuthones” (uomini invocanti la pioggia), e gli “Issohadores” (che in sardo vuol dire “colui che tiene la soha”, fune) tipiche del carnevale di Mamoiada. Un altro significato del termine Mamuthones deriva da “Maimatto” ossia il tempestoso, colui che si arrabbia e fa infuriare la tempesta invocando Dioniso, Dio greco che ogni anno moriva e rinasceva nella stagione primaverile.
L’origine dei mamuthones e degli issohadores si perde nella notte dei tempi. I sardi si mascheravano da animali e compivano riti pagani risalenti all’età nuragica, per proteggersi dagli spiriti del male e per propiziare un buon raccolto attraverso la venerazione di animali come dei. Alcuni storici pensano che queste tradizioni avessero un legame con i riti dionisiaci, altri studiosi invece pensano che all’origine delle rappresentazioni vi fossero diversi riti totemici, come l’addomesticamento del bue o una processione rituale, fatta dalle popolazioni nuragiche in onore di qualche nume agricolo o pastorale. Questi riti segnavano il passaggio delle stagioni dall’autunno all’inverno e dalla primavera all’estate.
I “Boes e Merdules”, invece, insieme a “sa Filonzana”, sono le maschere del Carnevale di Ottana.
Queste rappresentano il fiore della vita, simbolo di prosperità, di speranza e di buon auspicio. I “merdules” sono i guardiani dei buoi che cercano di condurli durante tutta la sfilata, utilizzando un bastone, “su matzuccu”, con il quale provano a domarli grazie anche ad una fune di cuoio, ‘’sa soca’’. Questi guardiani sono coperti di pelle di pecora o capra, bianca o nera, e indossano una maschera che ha il volto di un vecchio brutto deforme che ride.
“Sa filonzana” è un uomo travestito da vecchia deforme che fila la lana: il filo rappresenta la vita che lei è pronta a tagliare con un paio di forbici a chi non le offre da bere. Durante la manifestazione ordina ai boes di morire; questi cadono a terra e dopo qualche minuto si rialzano e riprendono a sfilare simboleggiando il ciclo della vita.
Anche a Cagliari le maschere hanno radici storiche antiche. Le più tradizionali sono: “sa panettera”, colei che fa il pane per tutta la città, i “tiaulus”, diavoletti maligni che danzano intorno al rogo, “i caddemis”, coloro che chiedono l’elemosina, “sa fiuda”, la vedova triste e sola, “su sabatteri”, il calzolaio o colui che faceva i lavori più umili, “sa dida”, la balia, e “ is piccioccus de crobi”, dei ragazzi che portavano in testa un cestino con il quale trasportavano il cibo destinato ai quartieri alti della città. Altre maschere impersonano delle signore di una certa età che girano per strada inveendo contro i vicini, spettegolando di qua e di là, urlando magagne e difetti di chi le incontra. Il momento più importante del carnevale cagliaritano è il rogo del “Re Cancioffali”, che verrà condannato dalla popolazione a bruciare sul rogo.
A livello mondiale, il primato nei festeggiamenti carnevaleschi spetta a Rio De Janeiro, in Brasile, dove lo spettacolo e la musica padroneggiano la scena, grazie alle scuole di Samba e ai ballerini che per ore ed ore intrattengono la folla ballando immersi tra colori, piume e costumi sfarzosi.
Nonostante ogni regione abbia le proprie tradizioni e sfumature, il carnevale resta una festa a cui il mondo non può rinunciare, essendo un’occasione per stare insieme e, attraverso il gioco, liberarci dalle inibizioni e dalla negatività che l’anno appena trascorso ci ha lasciato.